Viviamo in un’epoca in cui i consumatori e le società sono sempre più consapevoli dei problemi etici, sociali e ambientali. Questa crescente consapevolezza ha spinto molte aziende e istituzioni a cercare di migliorare la propria immagine. Tuttavia, piuttosto che attuare cambiamenti reali, molte scelgono di simulare un impegno verso cause nobili tramite strategie di marketing ingannevoli, note come “washing”. Questi “lavaggi” consistono nel ripulire la propria immagine pubblica senza cambiare davvero i comportamenti dannosi. In questo articolo, esploreremo i vari tipi di washing, come il greenwashing, whitewashing, pinkwashing, e altri, illustrandone i meccanismi e fornendo esempi concreti per ciascuno.
Greenwashing: sostenibilità di facciata
Il greenwashing è forse uno dei tipi di washing più conosciuti. Si riferisce a pratiche in cui aziende e organizzazioni si presentano come ecologiche o sostenibili senza apportare cambiamenti concreti. In un mondo in cui l’impatto ambientale è sempre più al centro del dibattito pubblico, molte aziende sfruttano il desiderio dei consumatori di fare scelte più “verdi”, promuovendo prodotti o iniziative che sembrano ecologici solo in superficie.
Esempio di greenwashing: il packaging “riciclabile”
Un esempio classico di greenwashing è il caso di aziende che pubblicizzano il proprio packaging come riciclabile. Sebbene tecnicamente vero, spesso si tratta di materiali difficili da riciclare, per i quali mancano infrastrutture adeguate o che finiscono comunque in discarica. Questo porta il consumatore a credere di fare una scelta sostenibile, quando in realtà il beneficio ambientale è minimo o nullo.
Carbonwashing
Una sottocategoria del greenwashing è il carbonwashing, che riguarda le affermazioni di riduzione delle emissioni di carbonio da parte di aziende che, in realtà, non stanno riducendo le emissioni ma semplicemente spostandole altrove o compensandole in modi discutibili, come la piantumazione di alberi senza garanzie a lungo termine. Ad esempio, molte compagnie aeree dichiarano di essere “carbon neutral”, ma in realtà continuano a emettere quantità significative di gas serra.
Whitewashing: la riscrittura della storia e l’eliminazione delle diversità
Il whitewashing ha diverse sfumature, ma la sua essenza è l’eliminazione o la distorsione della rappresentazione delle minoranze etniche, storiche o culturali a favore di una narrativa dominata da figure bianche. Questa pratica si osserva spesso nell’industria cinematografica, artistica e persino nella riscrittura della storia.
Esempio di whitewashing: l’industria cinematografica
Uno dei casi più famosi di whitewashing è il film “Exodus: Dei e re” (2014), in cui attori bianchi sono stati scelti per interpretare personaggi egiziani. Questo non è solo un errore di casting, ma un modo per riscrivere culturalmente la storia, eliminando l’importanza delle persone di colore nella narrazione storica e rafforzando l’egemonia bianca nei media occidentali.
Culturalwashing
Una variante del whitewashing è il culturalwashing, in cui elementi di culture non bianche vengono appropriati e presentati in modo stereotipato o irrispettoso. Un esempio comune è l’uso di motivi “orientali” nel mondo della moda senza coinvolgere designer asiatici, riducendo complesse tradizioni culturali a mere estetiche esotiche.
Pinkwashing: il marketing LGBTQ+ senza impegno autentico
Il pinkwashing è una tattica in cui aziende o governi si mostrano apparentemente a favore dei diritti LGBTQ+ per migliorare la propria immagine, ma senza un vero impegno verso l’inclusione. Questa pratica è particolarmente visibile durante eventi come il Pride Month, quando numerose aziende lanciano prodotti o campagne arcobaleno, pur mantenendo pratiche aziendali discriminatorie o ambigue.
Esempio di pinkwashing: Il Pride Month
Molti marchi, durante il mese del Pride, creano linee di prodotti “rainbow” o avviano campagne pubblicitarie che celebrano l’orgoglio LGBTQ+, ma spesso non riescono a sostenere queste comunità internamente. Un esempio è il lancio di collezioni di moda arcobaleno da parte di aziende che, nel frattempo, finanziano politici o organizzazioni che promuovono leggi anti-LGBTQ+.
Rainbow-washing
Un esempio correlato è il rainbow-washing, una forma di pinkwashing specifica per l’uso del simbolo dell’arcobaleno per promuovere inclusività solo in apparenza. Anche qui, l’impegno è superficiale e spesso limitato a campagne di marketing temporanee.
Bluewashing: beneficenza senza etica
Il bluewashing è la pratica in cui aziende o istituzioni si associano a cause umanitarie o collaborano con organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, per dare l’impressione di essere eticamente responsabili, senza effettivamente cambiare le proprie pratiche. Questo tipo di washing sfrutta il colore blu, che evoca immediatamente l’immagine delle Nazioni Unite, come simbolo di credibilità.
Esempio di bluewashing: le partnership aziendali
Un esempio comune è rappresentato dalle multinazionali che sponsorizzano eventi delle Nazioni Unite sulla sostenibilità mentre continuano a operare in paesi con pratiche lavorative o ambientali altamente discutibili. In questi casi, l’associazione con cause nobili è solo un mezzo per nascondere le violazioni etiche che continuano a verificarsi dietro le quinte.
Charitywashing
Un’altra variante è il charitywashing, in cui le aziende fanno grandi donazioni di beneficenza per distogliere l’attenzione dalle loro attività meno etiche. Ad esempio, una multinazionale che sfrutta i lavoratori in paesi del terzo mondo può fare grandi donazioni a enti di beneficenza, mentre le sue pratiche dannose continuano indisturbate.
White Saviourism: il complesso del salvatore bianco
Il white saviourism si riferisce alla tendenza, soprattutto da parte di individui bianchi o organizzazioni occidentali, di intervenire in contesti sociali o culturali di minoranze con l’atteggiamento paternalistico del “salvatore”. Questo fenomeno è molto diffuso nei media e nei progetti di volontariato, dove l’intervento delle persone bianche è visto come necessario per risolvere i problemi di comunità non bianche, senza una comprensione reale delle dinamiche locali.
Esempio di white saviourism: il volontariato in Africa
Celebrità e influencer che fanno brevi viaggi di volontariato in Africa e poi condividono le loro esperienze sui social media sono un esempio classico. Queste iniziative spesso non contribuiscono a soluzioni sostenibili, ma servono piuttosto a rafforzare l’immagine di chi vi partecipa, senza affrontare le vere cause strutturali dei problemi.
Developmentwashing
Una forma correlata è il developmentwashing, in cui organizzazioni internazionali di sviluppo lanciano progetti a breve termine per ottenere visibilità, senza un reale impatto a lungo termine sulle comunità locali. Questo tipo di washing è molto comune nelle ONG che lavorano in paesi in via di sviluppo.
Purplewashing: il femminismo usato come marketing
Il purplewashing si riferisce all’uso delle tematiche femministe da parte di aziende o governi per apparire progressisti, senza un vero impegno verso l’uguaglianza di genere. Un esempio tipico è la celebrazione dell’8 marzo, la Giornata Internazionale della Donna, da parte di brand che promuovono messaggi di empowerment femminile mentre continuano a praticare discriminazioni di genere internamente.
Esempio di purplewashing: la pubblicità femminista
Molte aziende lanciano campagne pubblicitarie che promuovono l’empowerment femminile, ma spesso queste iniziative non riflettono un vero cambiamento. Ad esempio, un marchio di cosmetici che celebra la diversità delle donne potrebbe, nello stesso tempo, non avere una rappresentanza femminile adeguata nei ruoli dirigenziali.
Femvertising
Il femvertising è una forma specifica di purplewashing, in cui le aziende usano messaggi femministi come tattica di marketing per vendere prodotti, senza affrontare le disuguaglianze di genere nelle proprie strutture aziendali.
Sportswashing: pulire la reputazione attraverso lo sport
Il sportswashing consiste nell’organizzazione o sponsorizzazione di eventi sportivi per migliorare la reputazione di governi o aziende con una storia di violazioni dei diritti umani o corruzione. Questa strategia è usata per deviare l’attenzione dai problemi interni e presentarsi come sostenitori dei valori positivi dello sport.
Esempio di sportswashing: Mondiali di calcio
Un esempio chiaro è quello di paesi autoritari che ospitano grandi eventi sportivi, come i Mondiali di calcio o le Olimpiadi, per distogliere l’attenzione dalle loro pratiche repressive. Ad esempio, Qatar, che ha ospitato la Coppa del Mondo 2022, è stato ampiamente criticato per lo sfruttamento dei lavoratori migranti impiegati nella costruzione degli stadi.
Brandwashing
Lo sportswashing si lega anche al brandwashing, quando marchi con reputazione controversa sponsorizzano grandi eventi sportivi per ripulire la loro immagine pubblica. Ad esempio, aziende coinvolte in scandali ambientali o etici possono diventare sponsor principali di eventi sportivi per associarsi ai valori positivi di questi eventi.
Yellowwashing: l’appropriazione superficiale della cultura asiatica
Il yellowwashing riguarda l’appropriazione superficiale della cultura asiatica da parte di aziende o individui per sembrare inclusivi o per trarre vantaggi commerciali. Spesso si tratta di un uso stereotipato di simboli, linguaggi o estetiche orientali, che riduce culture complesse a prodotti esotici o oggetti di consumo.
Esempio di yellowwashing: la moda “in stile asiatico”
Un esempio di yellowwashing è quando le case di moda occidentali usano motivi o simboli asiatici nelle loro collezioni, senza coinvolgere designer o artisti asiatici. Queste iniziative riducono culture ricche e complesse a semplici tendenze commerciali, senza riconoscere il valore e la profondità delle tradizioni locali.
Conclusione
I vari tipi di washing rappresentano una forma subdola di inganno, in cui l’apparenza di etica o progresso viene utilizzata per nascondere problemi reali. Dalla sostenibilità di facciata del greenwashing, all’appropriazione culturale del yellowwashing, queste strategie mostrano come molte aziende e governi siano più interessati a sembrare virtuosi che a esserlo realmente. L’unico modo per combattere queste pratiche è una maggiore consapevolezza da parte del pubblico e una richiesta costante di trasparenza e responsabilità da parte delle organizzazioni.